IL MERCATO DEL CAPO

Il Mercato del Capo, omonimo del quartiere Capo, in cui si svolge quotidianamente la mattina, anche di domenica. Come tutti i mercati tipici di Palermo è un trionfo di voci, colori, profumi; tra prodotti tipici in vendita sulle bancarelle, cibo di strada a cui non si può resistere, i luoghi di ritrovo in cui si affollano avventori abituali di tutte le età per conversare con la schiettezza e l'animosità tipica dei palermitani, contribuendo a creare il chiassoso vociare tipico anche di Ballarò, ovviamente de La Vucciria, di Lattarini e del Mercato delle Pulci.

Un pò di storia

L’origine del nome, del quartiere e del mercato, deriva da quello della zona: "Caput Sarecaldii", e divenuta poi più semplicemente "Capo", perché posta nella parte più alta dell'antico quartiere Seralcadio, una volta nella Palermo musulmana e che, dopo la cacciata degli arabi e la ricostruzione della cinta muraria, si popolò di artigiani e commercianti.
La storia del mercato del Capo è spesso fraintesa e le informazioni a riguardo confuse. Pare ne parli già, alla fine del X secolo, in un diario di viaggio, un mercante di Bagdad: Ibn Hawqal. Al tempo della dominazione araba si trattava ancora di una serie di banchi, al di fuori delle mura esistenti, sopra all’allora corso del fiume Papireto.
La struttura del mercato del Capo così come la conosciamo è però legata all’epoca normanna e alle nuove mura, entro le quali venne compreso. Fu allora, a partire dal XIV secolo, che la parte alta del quartiere sari-al-qadì (strada del Kadì), nome volgarizzatosi in Seralcadio, venne distinta e valorizzata, e in seguito completamente bonificata dalle paludi derivate dalla copertura del Papireto.
Ora, da Porta Carini si scende verso piazza Beati Paoli lungo una via coloratissima di frutta, verdura e ortaggi, pesce freschissimo, crostacei e molluschi, spezie e tanti altri prodotti tipici siciliani; leccornie dolci e salate, oltre che personaggi i quali rappresentano ancora lo spirito originale del mercato, fatto dell’osservare, dell’assaggiare, contrattare e, ovviamente acquistare.
Sotto i tendoni del Mercato non mancano i venditori ambulanti di biglietti della lotteria, ragazzini in motorino e orde di turisti straniere dalle facce stupite e disorientate, così che il "centro commerciale agroalimentare" somiglia di più a un fantasmagorico circo senza bestie feroci e domatori.
E ben vengano tra i banchi del Capo i venditori stranieri, che in un contesto sempre più multiculturale e cosmopolita, contribuiscono a mantenere vivo un Mercato che, tra banane di importazione e asparagi selvatici, resta comunque un’istituzione storica, dall’identità tanto forte da non poter essere messa in discussione.
Tra le più citate nelle recensioni di chi visita il mercato del Capo, le spremute e i centrifugati di frutta fresca: agrumi, naturalmente, ma anche fichi d’india e melagrane; e le grattatelle all’antica, versione palermitana della grattachecca, a base di ghiaccio grattato, frutta fresca e sciroppo.
Perla del patrimonio culturale ed enogastronomico siciliano e italiano, il mercato del Capo è sicuramente una tappa da inserire nel percorso per conoscere Palermo e per accaparrarsi qualche souvenir culinario: che sia street food da consumare in loco, arancine, crocchè, caponate, sfincioni e panelle da portare nel ricordo, o qualche acquisto a prezzo conveniente da mettere in valigia. Colpiscono in questo paradiso per buongustai il prezioso zafferano, l’incredibile varietà di olive che i siciliani hanno imparato ad apprezzare dai tempi degli antichi Greci, i pistacchi, i capperi.
Durante la passeggiata al Mercato, vale la pena soffermarsi ad ammirare le costruzioni antiche che hanno visto nel corso del tempo storie d'amore, battaglie, invasioni, le vecchie porte, le tante chiese che sovrastano imponenti, da secoli, il brulicare del popolo. Tra tutte spicca la trecentesca Chiesa di Sant’Agostino, conosciuta anche come come "Santa Rita".
Una particolarità del mercato del Capo sono le abbanniate, le tipiche grida di richiamo dei venditori, comuni in tutti i mercati ma che al mercato del Capo si avvalgono per tradizione di immagini metaforiche particolari. Ascoltatele con attenzione: scoprirete che associano l’uva bianca ai riccioli biondi nella capigliatura femminile, la freschezza del tonno (tunnina) a quella di una signorina che si può baciare (segue spesso il bacio al tonno!), mentre zucchine e cetrioli si prestano a piccanti e colorite allusioni.